Per parecchio tempo, dopo che ho iniziato a lavorare, ho vissuto con fatica e un pizzico di terrore i colloqui con i genitori dei miei giovani pazienti. La mia preoccupazione stava nella possibilità di essere valutata, ovvero che il fine ultimo un po’ di tutti fosse quello di saggiare la bontà non solo del mio operato, ma della mia persona.Quello che ho scoperto (dopo parecchio tempo e un confronto piuttosto intensivo con le mie paure) è che il mio timore si incastrava perfettamente con il loro. In molti negli anni si sono aspettati da me che facessi notare loro dove stavano sbagliando, in cosa non erano capaci, dove stava la loro responsabilità (i genitori parlano per lo più di colpe) nel disagio dei figli. Crescendo come madre e contemporaneamente come terapeuta ho imparato che i genitori, quelli sufficientemente buoni ma un po’ confusi e distratti dalle tante incombenze dell’età adulta, meritano clemenza. E molto meno giudizio. Ho scoperto che aiutare un papà o una mamma a perdonare sé stessi per la loro umana imperfezione a volte è più efficace che evidenziare con la penna rossa i loro errori. Che poi è lo stesso principio che rende tollerabile il mio lavoro da terapeuta e ovviamente di madre.Imparare ad accettare i propri limiti significa insegnare ai propri figli a fare lo stesso. Senza tante parole, ma una lezione di vita tra le più preziose.